Ho comunicato alla Procura di Roma alcuni elementi utili per indagare sulla scomparsa di Alessia Rosati.
Non ho alcuna stima per tali giudici, la cui negligenza o dolosità ha formulato conclusioni arbitrarie e diffamatorie nei miei confronti. Per cui mi limito a fornire esclusivamente alcuni “punti”, indaghino seriamente guadagnandosi il pane che lo Stato fornisce loro. Non sarò io ad inseguirli ed incitarli nei doveri.
Avevo fatto sapere alla famiglia della Rosati, che avrei detto loro loro quanto dovuto, ma costoro non mi hanno mai contattato, preferendo apparire piuttosto presso la trasmissione di RAI 3 sugli scomparsi, che come sempre confezionerà uno spettacolo deviante ,sensazionalistico e irrispettoso di ogni verità. E’ l’atteggiamento comune di tutti i parenti coinvolti in questo caso giudiziario, che assistono ingenui ed imperterriti alla mia demonizzazione mediatica e conseguente perdita del necessario discernimento.
Alessia Rosati era solita trovarsi in un piazzale situato al termine di via Val Padana, sedersi su quelle panchine e frequentare il centro sociale posto nello stesso slargo. Questo era anche il luogo dove ci conoscemmo ed apparentemente scomparì. Su questa scena si apriva il portone di una delle abitazioni in cui ho vissuto con la mia compagna di venti anni, la stessa ragazza che poco tempo dopo sarà intercettata mentre telefonicamente nominava l’ Emanuela Orlandi.
Insieme ad Alessia ed altri, concordammo il suo andarsene di casa, spiegato da una lettera fatta pervenire alla stessa amica che fu presente nel momento in cui non fece ritorno presso la sua famiglia. Così come nelle prime telefonate per la Orlandi, la motivazione della Rosati raccontava di un desiderio di libertà. Così come per la Gregori, si citava la presenza di un ragazzo. E come fu per ambedue, la presenza di un’amica negli ultimi momenti che ne precedevano la scomparsa.
Nei giorni a venire, io e la Rosati a bordo di un motorino, continuammo ad incontrare vari compagni del mio e del suo ambiente. Faccio appello a costoro a presentarsi alle autorità e confermare.
Dopo circa un dieci giorni, l’Alessia non fece ritorno al mio studio fotografico dove risiedeva. Alcune persone che la conoscevano e con noi collaborarono, improvvisamente si negarono come intimoriti.